Rapporti di lavoro fra parenti e affini

In occasione di accessi ispettivi o di controlli mirati (provocati dal godimento di prestazioni assistenziali, quali disoccupazione, maternità ecc…) accade sempre più frequentemente che l’INPS disconosca i rapporti di lavoro subordinati instaurati con dipendenti parenti entro il terzo grado (padre-figlio, nonno-nipote, fra fratelli, zio-nipote) e affini entro il secondo grado (genero-suocera, cognati) del datore di lavoro.
Di fatto i rapporti lavorativi fra parenti e affini possono consistere in:

  1. un rapporto di lavoro subordinato con versamento contributivo all’assicurazione generale obbligatoria (per dipendenti);
  2. un rapporto di collaborazione nell’ambito dell’impresa familiare con iscrizione del coadiuvante alla gestione speciale artigiani o commercianti;
  3. un rapporto di collaborazione familiare privo di contribuzione all’Inps poiché non sussistenti i requisiti di attività abituale e prevalente in capo al collaboratore.

Solamente la condizione di cui al punto 2) rappresenta per l’INPS presupposto di regolarità del rapporto, in forza della presunzione che tra familiari stretti, e magari anche conviventi, non possa sussistere subordinazione, onerosità della prestazione e assoggettamento disciplinare e gerarchico;  ciò, richiamando le situazioni di maggior regolarità sotto l’aspetto previdenziale di cui alle leggi istitutive delle gestioni speciali dei lavoratori autonomi, nonché alle proprie direttive interne, spesso confermate integralmente dalla giurisprudenza.
Quanto sopra richiamato viene fatto valere dall’INPS soprattutto nelle imprese individuali e nelle società di persone (Snc, Sas), a carattere familiare, laddove il rapporto di parentela tra datore di lavoro e lavoratore, intercorrendo direttamente, sopravanza la configurabilità della subordinazione. Diversamente, nelle società di capitali (Srl, Spa), ambito in cui, seppur da verificare caso per caso, la presunzione di subordinazione è maggiore, poiché la figura del datore di lavoro si identifica nella società e non nelle persone degli amministratori.
Riepilogando i suddetti concetti si può sintetizzare che, mentre nelle ditte individuali e soc. di persone, è il datore di lavoro che vuol far valere la subordinazione a dover darne prova precisa e rigorosa, non solo formale ma degli elementi costitutivi e di svolgimento del rapporto, nelle soc. di capitali accade l’opposto, vale a dire che dovrà essere l’Inps a provare quanto operato e verbalizzato in maniera precisa e rigorosa.     
Garantendo l’opportunità di svolgere qualsiasi approfondimento presso gli uffici del servizio amministrazione del personale della Confcommercio Cesenate, in questa sede va infine accennato che esistono delle “eccezioni” rispetto alla regola di carattere generale sopra richiamata di cui a titolo esemplificativo ma non esaustivo si richiamano le seguenti:

  • il caso di SNC (Sas) in cui venga assunto come dipendente il figlio di uno dei soci laddove fra quest’ultimo e gli altri soci non esiste alcuna parentela; in tal caso, infatti, la subordinazione è configurabile poiché del rapporto padre-figlio deve essere dato conto anche agli altri soci;
  • sono tutt’ora vigenti vecchie leggi, mai abrogate, che prevedono e quindi consentono, ricorrendone i presupposti di carattere generale e secondo la normale onerosità della prova, di instaurare un rapporto di lavoro nella tipologia dell’Apprendistato fra datore di lavoro e figlio, anche se poi al termine del periodo formativo lo stesso non potrà più proseguire nella subordinazione.

Da ultimo, si precisa che, in caso di disconoscimento del rapporto di lavoro subordinato intercorso indebitamente tra parenti, l’INPS notificherà al datore di lavoro un verbale unico di accertamento mediante cui segnala agli uffici competenti dell’Istituto:

  1. i periodi per i quali il “collaboratore famigliare” non è stato iscritto alla gestione speciale autonoma (artigiani o commercianti) per il recupero di tale contribuzione maggiorata delle sanzioni civili e degli interessi,
  2. le prestazioni non spettanti da recuperare nel limite prescrizionale degli ultimi cinque anni; gioco forza, l’impresa potrà inoltrare istanza di rimborso per i contributi versati per il famigliare come dipendente.

 



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